Le SS.UU. della Cassazione sono state sollecitate ad una rilettura della prescrizione dei crediti maturati dai lavoratori pubblici, alla luce dell'evoluzione socio-economica dei rapporti di lavoro ed in particolare della contrattualizzazione di molti settori del pubblico impiego.
La Corte ha però negato la piena parificazione tra i rapporti di lavoro privato e quelli del pubblico impiego contrattualizzato, sul presupposto della stabilità del rapporto, garantita dalla disciplina del pubblico impiego.
Questa il principio di diritto affermato con la sentenza del 28.12.2023 n. 36197: "La prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato decorre sempre – tanto in caso di rapporto a tempo indeterminato, tanto di rapporto a tempo determinato, così come di successione di rapporti a tempo determinato – in costanza di rapporto (dal momento di loro progressiva insorgenza) o dalla sua cessazione (per quelli originati da essa), attesa l’inconfigurabilità di un metus. Nell’ipotesi di rapporto a tempo determinato, anche per la mera aspettativa del lavoratore alla stabilità dell'impiego, in ordine alla continuazione del rapporto suscettibile di tutela"
Riteniamo che la Corte abbia perso l'occasione di adeguare la sua interpretazione sulla materia alle attuali condizioni socio-economiche del lavoro nel nostro paese.
Pensiamo in particolare ai lavoratori del mondo sanitario, ove le ASL fanno ricorso frequentemente, se non in via prioritaria, al lavoro "precario", nel quale la stabilità è un miraggio e non una garanzia. I medici assunti durante l'emergenza Covid sono ancora in attesa che venga mantenuta la promessa stabilizzazione!
Ad ogni modo, occorre tenere presente che nel pubblico impiego, anche privatizzato, la prescrizione dei crediti retributivi (indennità varie, riposi, straordinario, ferie, ecc...) decorre dalla loro insorgenza in costanza di rapporto o a partire dalla sua cessazione.
Mentre, nel lavoro privato (non dotato di stabilità) vale la regola opposta.
La nostra esperienza ci insegna che non tutti i lavoratori ne sono conoscenza, perdendo così la possibilità di tutelare, almeno in parte, i loro diritti.